sabato 26 marzo 2011

You are wellcome!

Il "benvenuto" e il "prego" si confondono in questa terra.

Il deserto che circonda le montagne, così simile alla lucania, e le cime innevate che scorgo con lo sguardo appena metto il naso fuori dal mio monolocale, che mi ricordano le nostre Alpi di cui riuscivo a scorgere un frammento in pieno centro città, mi fanno sentire quasi a casa. Quasi. Il forte vento primaverile, che ha preso il posto del turbinio di piccoli fiocchi di neve che mi ha accolta sulla strada di Los Alamos, sferza il volto ricordandomi le migliaia di kilometri che mi separano da Torino.

Prima di partire mi dissero che gli americani non sono amichevoli ma solo cordiali. Posso dire che la mia padrona di casa è differente. Appena incontrata è stata molto più che disponibile: mi ha fatto fare un giro della città; mi ha accompagnato in banca e mi ha aiutato a fare la spesa. Ritornate a casa, non riuscendo a capire come prelevare più di 80$ e vedendomi preoccupata lei mi ha confortato con un abbraccio.
Un caso raro in tema di affitti, ma che mi ha fatto sentire davvero la benvenuta.

Tutte le conversazioni iniziano sempre con "come stai?" non solo sul posto di lavoro, ma anche con il commesso. Formalità? A volte. Lo capisci dal sorriso se sono sinceri.
Al momento la mia preferita è Charlotte, la segretaria dell'ufficio. Lei ogni volta che piombo nella sua stanza o fa una telefonata per risolvere qualche mio problema con gioia chiede al suo interlocutore "How are you?". Quando vado via, dopo sonore risate per qualche mia battuta sugli intoppi che devo affrontare e che senza di lei sarei persa, la ringrazio e lei mi saluta sempre con "You are wellcome! Come back when you want.".
Qui quando ci si congeda si usa "Arrivederci"="See you" solo fra persone con cui ti relazioni di frequente come i colleghi, mentre con gli sconosciuti - soprattutto addetti alla clientela - ti sentirai sempre dire "Have a great day!", un augurio cortese che poi si declina a seconda dell'ora e del giorno della settimana. In fondo la ricerca della felicità fa parte della carta dei diritti americani.

martedì 22 marzo 2011

Silenzio americano

Nonostante la disgraziata Sadem che ha cercato di farmi perdere il volo, sono riuscita ad imbarcarmi per Atlanta.

Il posto accanto al mio è occupato da una ragazza americana.
"Perfetto" mi dico, così inizio subito con il piede giusto. Sbagliato.
Lei non proferisce parola per tutte le 11 ore di volo: o dorme o guarda un film.

Ma gli americani non erano quei bambinoni chiassosi egocentrici che non aspettano altro di raccontarti la loro vita??? Forse Severgnini si è confuso con gli italiani, perché quelli dietro di me non facevano altro che dar fastidio alle hostess - persino a quelle tardone - che a quelli che gli stavano intorno. Mi dico che è solo un caso, in fondo non si può sempre generalizzare; vedi me, mica sono cafona come quei 4 connazionali citati prima!

Secondo volo Atlanta-Albuquerque seconda chance. Nessuna chance.
Il babbo natale e il suo grande aiutante non sembrano dell'avviso di fare conversazione. Neppure ci provano. Nemmeno io che ho affronato già 20 ore di viaggio.

Devo provare ad attacare bottone da me.

Per il momento mi farò bastare quelle brevi conversazioni con poliziotti della dogana, operatori telefonici, hostess, cameriere, autisti e corsierge. Non so come hanno fatto a capirmi, ma sta di fatto che alla fine sono riuscita a raggiungere l'albergo. Un miracolo. Forse.