domenica 27 novembre 2011

Caffeomanzia

Dimmi come bevi il caffè e ti dirò chi sei...

La prima cosa di cui si lamenta un italiano all'estero è la mancanza di un buon espresso. Ci manca quel gusto intenso e persistente perché ci dà la carica. Quell'aroma incofondibile data dalla particolare tostatura, che bene si accompagna con il sapore di sigaretta.
Probabilmente siamo troppo orgogliosi per ammettere che esistano altre qualità e preparazioni decenti, oppure troppo abitudinari per provare qualcosa di nuovo. Come per la pizza.
Squadra che vince non si cambia... porta gli stessi indumenti fino a quando non perde. Così le nostre abitudini rimangono fisse nel tempo finché non siamo costretti ad adattarci al nuovo.

Ma quello che ci distingue non è solo il tipo di caffè, ma anche il rito con cui prendiamo il caffè. Probabilmente il punto chiave di lettura di un popolo. Di qualunque popolo.

Quando siamo di fretta ci basta un caffè bollente ingollato al bancone.
Una breve doccia bollente che dà la scossa giusta per buttarti di nuovo nella mischia. In questo angolo di mondo, invece, le caffetterie non hanno il bancone. Lo stile americano è berlo in macchina. Perché? Perchè il caffè ha un'altra concezione: una bevanda da sorseggiare lungo il cammino. Non c'è bisogno di sprecare minuti preziosi al bar, né si potrebbe fare altrimenti quando hai praticamente mezzo litro da bere.

Se invece siamo in vena di fare quattro chiacchere con un vecchio amico o quando vogliamo approfondire la conoscenza con qualcuno senza far scoprire troppo le nostre carte o per meeting informali scegliamo sempre un caffè al bar, territorio neutrale e confortevole. Anche se è solo un espresso e per berlo servono al più un paio di minuti, siamo in grado di mandare avanti conversazioni per ore e ore, molto più della vita del nostro caffè.
Cosa farebbe un americano invece? Non saprei, non mi è ancora capitato, ma forse ti invita a vedere una partita di Hockey o a bere una birra nei primi due casi e per il meeting fuori a pranzo.

Per un Italiano il caffè è qualcosa da condividere o da prendere al volo.
Per un Americano un compagno di viaggio.

A volte mi stupisco che Neruda non abbia celebrato anche il caffé, perciò...

Ode al caffé di Donna Teresa

Il tuo profumo traghetta dalle braccia di morfeo a quelle di Apollo.
Forte abbastanza da sostenere l'anima dalle sue fatiche,
dolce abbastanza da confortare nell'ora più buia. 

Nera passione. Voluttuoso.
Come i nuovi amanti che intrecciano le loro storie davanti al tuo cospetto.

La bianca porcellana, ramoscello di pace delle piccole burrasche. 
Sottile invito alla gentilezza,  le fondamenta di una amicizia.
Offerta promessa di un futuro che ci renderà liberi.
Caffè.

giovedì 24 novembre 2011

Happy Thanksgiving





Il titolo di questo post all'inizio doveva essere Happy Halloween e raccontare della mania degli americani per questa festa: case addobbate con finte lapidi e fantasmini luminosi; puppazzi appesi ai lampioni; bambini, bestie  e adulti vestiti in modo buffo, osceno o tavolta da paura...
Poi non essendo riuscita ad assaporare a sufficienza la dolce sregolatezza della festa ho cambiato idea. Tanto non è poi così diverso da Carnevale, se non tempisticamente.

E se gli spots da settembre non fanno altro che terorrizzarti su quanto sia inadeguato farsi trovare impreparati e non comprare un vestito per l'Halloween, dal primo novembre ti ricordano che Natale è alle porte, passando però per la tradizionale festa del Ringraziamento.

Meglio parlare del festa al tacchino quindi.
Ma di cosa ringraziano gli Americani?
Ringraziano quei pirla di Nativi per essersi fatti fottere la terra e la libertà.
Ringraziano inoltre i Padri Pellegrini per averci regalato un menù al quanto stravagante: patate dolci più simili ad un dessert, ma usate come contorno ed altre cibarie non meglio identificate.

Io ringrazio i prof. Tilli e Coppa per avermi incoraggiata a fare questa esperienza.
Ringrazio i miei compagni di ventura - e sventura - per aver reso la permanenza più interessante.
Ringrazio i nuovi amici americani per avermi mostrato che ci si può divertire molto... anche in the middle of nowhere.
Ringrazio i vecchi amici che non hanno mai smesso di essermi vicino.
Ringrazio Los Alamos per avermi dato uno stipendio e regalato tanta natura da vivere.
Ringrazio gli Americani per non essere così americani.
Ringrazio però di non essere americana e saper quindi distinguire la merda dalla cioccolata.
Ringrazio di poter tornare in un Italia senza Berlusconi.

Grazie di vero cuore.

domenica 20 novembre 2011

Justice League


Guardando il film "L'avvocato del diavolo" pensavo al sistema giustiza.

La presunzione d'innocenza, è il principio secondo cui l'imputato è considerato non colpevole sino a prova contraria. Lo standard che deve essere soddisfatto dalla prova dell'accusa in un procedimento penale è che non esiste altra spiegazione logica che può essere derivata dai fatti, salvo che l'imputato ha commesso il reato, superando così la presunzione che una persona sia innocente.

In Italia l'imputato è innocente sino in Cassazione, quindi è compito degli accusatori dimostrare la colpevolezza dell'accusato nei tre gradi di giudizio nei tempi fissati dalla legge. In America, invece, spetta all'imputato l'onere di dimostrare la sua innocenza nel processo senza per forza ricorrere in appello.

Due punti di vista al quanto significativi.
Il primo propende a difendere l'accusato dal sistema stesso proprio perché ai tempi dei Padri Costituenti l’esercizio del diritto di difesa era molto limitato. Il secondo invece permette ai difensori a fare delle vere e proprie indagini per la fiducia nella democrazia delle istituzioni.

In entrambi i paesi però molto dipende dall'abilità dell'avvocato. Certo le prove. Ma la prova non è altro che l'interpretazione di un dato oggettivo. Un numero di per sé non ha significato: occorre costruire una rete che colleghi i dati, ma questa rete non è detto che approssimi correttamente l'andamento reale. Insomma se per fino i dati sperimentali hanno varie interpretazioni figuriamoci le prove di un processo!

Quello che forse però manca all'Italia rispetto ad altri Paesi è l'etica. Nessun membro delle alte istituzioni di un paese normale si sognerebbe di rimanere al proprio posto con capi d'accusa pendenti di un certo rilievo. Nonostante ci professiamo cattolici (e l'ingerenza della Chiesa negli affari di Stato è evidente) e nella Bibbia ci sia scritto Diligite iustitiam, qui iudicatis terram - amate la giustizia, voi che governate la terra - i nostri governanti non dimostrano tale amore. Tutt'altro, la si prescrive.

Ci vogliono i supereroi per mettere al sicuro il mondo o, semplicemente, che gli avvocati si limitino a far emergere la verità e far trionfare la vera giustizia, anziché annoverare innumerevoli casi vinti. La vittoria di un processo, ahimè, non passa per forza dall'innocenza, soprattutto in Italia.